Questa di Marinella è la storia vera.

Con questo post si inaugura una nuova collaborazione. Quella tra la sottoscritta e Lemniar, una ragazza speciale che conosco da un bel po’ di anni (e se non la leggete, MALE!! Anzi, MALISSIMO).

Abbiamo deciso di unire la mia passione per la musica alla sua passione, la scrittura. Per cui, a turno, io sceglierò una canzone e lei scriverà un racconto ispirato a quella canzone e, la volta successiva, lei scriverà un racconto e io sceglierò una colonna sonora.

In questo caso, io ho scelto prima la canzone e lei ci ha costruito un racconto. La canzone che ho scelto è “La canzone di Marinella” di Fabrizio De André.  

 

Perchè? Ecco perché. Circa due anni fa a gennaio, io e la cara Lemniar ci trovavamo a casa mia a studiare per un esame universitario. Dopo ore passate sui libri, si decise per una pausa caffè. Mentre aspettavamo che la caffettiera producesse, ho preso il pc e ho messo un po’ di musica. E ho scelto La canzone di Marinella. In quell’occasione Lemniar mi disse: “Sai Ilaria che ci sono due canzoni che mi fanno commuovere particolarmente?! Beh, questa è una di quelle”. Ci siamo bevute il nostro caffè, ci siamo ascoltate De André e abbiamo ripreso a studiare. L’esame era andato bene, molto bene.

Questa canzone mi sembra perfetta per iniziare questa collaborazione perché c’è una piccola storia che ci lega a questa canzone, cara Lemniar. E “poi” è di De André. La canzone di Marinella è stata pubblicata per la prima volta nel 1964 come lato B del 45 giri Valzer per un amore ed è arrivata al grande pubblico soprattutto grazie all’interpretazione di Mina.  Si è sempre parlato molto di come è nata questa canzone. Il Faber raccontò in diverse interviste di aver letto su un giornale (forse La Provincia di Asti, forse La Nuova Stampa) un fatto di cronaca che riguardava l’uccisione di una donna, trovata senza vita nel gennaio del 1953 nell’Olona, alla periferia di Milano. Il giorno successivo al ritrovamento del cadavere di questa giovane prostituta, la Nuova Stampa riporta la notizia e l’articolo inizia così: “Quella di Maria Boccuzzi…è la storia di…”.

Questa di Marinella è la storia vera

De André racconta di aver scritto La canzone di Marinella perché voleva fare qualcosa per lei nell’unico modo in cui poteva: “decisi di cambiarle la morte, visto che non potevo più cambiarle la vita. Allora pensavo, e forse lo penso ancora, che se lei, da qualche parte, ha uno spiraglio attraverso il quale può vedere che qualcuno si occupa di lei, forse ne sarà contenta“.

Bene, è giunta l’ora di ascoltare la canzone e di leggere racconto.

 

Davanti ai suoi occhi scintillava blu il mare. Allontanarsi da quella guerra sarebbe stato anche più pericoloso.

La lettera per imbarcarsi sulla nave che li avrebbe portati via da quella Bestialità in Terra Santa recitava:

“ Lasciapassare per il Signore di Orentodos, per il suo vassallo e scudiero Patronomìr, la vendita delle cavalcature in possesso coprirà le spese fino al porto di Marsiglia”.

Quindi la bambina,  che ora riposava tra le sue braccia, dai capelli corvini, occhi chiari e la pelle mora, non era nella lista. La missiva non era il solo problema del Signore di Orentodos. Anche come quella bambina era entrata nella sua vita, era parte del problema.

 

Le Crociate furono per loro solo massacri fin dal primo giorno in cui misero piede in quella terra, che di santo portava solo il nome e che, per il resto, viveva una dannazione che molte vite dopo la loro non si sarebbe ancora placata, di questo erano certi.

Dopo un anno a vivere respirando polvere e sangue tutti i cavalieri non avevano più anima, il cinismo se l’era portata via ed era per loro tutto vuoto, tutto insapore. Lo vedevano ogni giorno.

Tutto cambiò un tardo pomeriggio mentre raggiungevano la sommità di una collina, l’urlo straziante fece sdraiare d’istinto sia lui sia il suo compagno e per capire cosa stesse succedendo cercare una visuale strisciando sulla terra era l’unico modo. Non bastava aver visto orrori tutti i giorni per abituarsi al peggio, gli orrori non avevano limiti e una donna appena violentata e trapassata da una lama di un cavaliere di quella guerra santa, era l’abominio cui non potevi abituarti. La donna fu gettata nel fiume con il suo fagotto sulle spalle, la videro scivolare nelle acque chiare, solo il fagotto affiorava.

Videro poi cavaliere e vassallo rimanere sul luogo dello scempio e accendere un fuoco e il tutto fu semplicemente  troppo. Decisero allora che avrebbero aspettato poche ore prima dell’alba per poi scendere lungo la collina e ucciderli. Avrebbero proseguito il pellegrinaggio una volta sorta l’alba, ma il piano richiese di essere cambiato più di una volta perché due frati che decidono di arrivare di soppiatto e di ammazzare due diavoli commettono inevitabilmente errori e così la dipartita dei due non fu proprio indolore.

Alle prime luci dell’alba invece di lavarsi semplicemente, i due frati s’imbatterono nel corpo della poveretta che in un impeto di vita si era portata verso la riva, sporgeva quel che bastava per tenere fuori dall’acqua il suo fagotto o meglio la sua bambina, infreddolita, affamata, arrabbiata, ma viva. E fu allora chiaro che abbandonarla al suo destino non poteva essere possibile e che l’impossibile doveva essere tentato per lei.

Fu frate Agosto a voler perquisire i cadaveri dei demoni e fu lui infatti a trovare la lettera. Fu così che Fra Agosto mise i panni di Patronomìr e Fra Pesto divenne il Signore di Orentodos con una tranquilla bambina mora addormentata, nascosta tra le fasce di una cappa da crociato e questa sarebbe stata la verità almeno fino a Marsiglia.

 

 

 

Evaporato in una nuvola rossa.

Domani E’ il settantacinquesimo compleanno di Fabrizio De André e volevo consigliarvi una bella intervista a Mauro Pagani, in cui viene ben illustrato il gusto artistico del Faber, ma soprattutto Pagani ci espone una delle più grandi qualità di Fabrizio, cioè la capacità di raccontare storie senza giudicare, una qualità che purtroppo appartiene a pochi.

Per consegnare alla morte una goccia di splendore.

Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto dal ricordo di una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.

Fabrizio De André

Domani è il sedicesimo anniversario della morte di Fabrizio De André.

Tutti gli anni in questi giorni penso “Cosa avrebbe scritto il Faber sugli avvenimenti, nazionali ed internazionali, degli ultimi anni? Cosa avrebbe scritto su se stesso?”. Purtroppo a queste domande non c’è risposta, ma abbiamo la possibilità di ascoltare ciò che ha scritto in passato e riflettere sul fatto che il tutto è ancora attuale.

De André manca. Manca un artista in grado di leggere, in maniera così precisa, quasi chirurgica (ma mai fredda o distaccata) i sentimenti e i cambiamenti delle persone e della società intera. Manca un artista con la sua stessa continua voglia (e necessità) di scoprire e di scoprirsi. Manca la sua eleganza nel mettere nero su bianco pensieri anche molto pungenti. Manca un artista che sappia parlare dell’amore come faceva lui, oggi molti scrivono sull’amore, ma non dicono nulla se non un insieme di banalità. Siamo circondati da tanti Fabio Volo che scrivono piccole parole vuote e insignificanti.

Manca Fabrizio De André e come già dissi l’anno scorso, mi rimane il grande rimpianto di non averlo mai conosciuto.

Cantare il Faber (2)

Nel post di qualche giorno fa avevo dimenticato parecchie cover di canzoni di Fabrizio De André, quindi ecco qui la seconda parte.

Non si può non citare la Pfm, che con De André ha collaborato e ha reinterpretato moltissime sue canzoni. Ho scelto Zirichiltaggia perché è una bella testimonianza dell’amore del Faber per la cultura sarda.

 

Ottima l’interpretazione di Khorakhané della Mannoia, la sua voce elegante e mai esagerata si sposa perfettamente con il tema (non semplice) della canzone.

 

Hotel Supramonte è una canzone che amo e in cui De André racconta del suo sequestro, quindi è un brano molto personale, intimo e per questo ho molta difficoltà ad ascoltarlo cantato da una voce diversa da quella del Faber. Nonostante ciò, è apprezzabile la versione di Roberto Vecchioni.

 

Io ho sempre avuto un debole per Jannacci, era un uomo di grande cultura e sensibilità e la sua delicata versione di Via del campo (seppur molto diversa da quella di Fabrizio) mi ha sempre emozionato e vi consiglio di ascoltarla [sì, ci sarebbe la storia del plagio, ma poi De André e Jannacci si sono chiariti, quindi parole di De André e musica di Jannacci].

 

Nel reparto “schifezza” c’è Amico fragile cantata da Vasco Rossi. Il Faber l’ha descritta come la sua canzone più rappresentativa, qui si espone, si descrive e critica se stesso e la società in cui vive (o sopravvive). L’interpretazione di Vasco è penosa, quindi caro Vasco prendi per mano il Liga e insieme meditate sui vostri errori.

 

E qui si chiude la seconda puntata. Forse, alla prossima 🙂

 

Cantare il Faber.

Fare cover è sempre difficile e fare una cover di una canzone di Fabrizio De André lo è particolarmente perché le sue non solo semplicemente canzoni e molto spesso chi le ripropone si preoccupa più dell’estetica della canzone e molto meno del suo significato. Io, in generale, non amo molto le cover e amo ancora meno quelle delle canzoni/poesie del Faber (per i motivi che ho detto prima), a parte qualche rara eccezione

Ecco, secondo me, un tipico esempio di stravolgimento catastrofico/orribile di una canzone di De André è La canzone dell’amore perduto urlata da Dolcenera. Questa donna non ha capito una mazza di questa canzone, in certi momenti sembra avere un nocciolo di ciliegia in gola, in altri sembra sbraitare dal dolore per aver sbattuto ripetutamente il mignolo del piede contro uno spigolo. Faber perdonala perché non sa quel che fa e quel che fa lo fa male.

 

Nel tripudio delle schifezze, insieme a Dolcenera, c’è Ligabue e il suo farlocco tentativo di riproporre Creuza de ma. Caro Liga, ti era già andata male con Fiume Sand Creek che era in italiano, perché darsi (e darci) una mazzata sugli zebedei con il genovese? (e soprattutto…Mauro Pagani…perché hai partecipato? Resta un mistero).

 

 

Un’altra schifezza enorme è La guerra di Piero riproposta da Neffa. Fa ribrezzo lui (è più espressivo il campanaccio di una mucca valdostana) e l’arrangiamento. [Non mi esprimerò su La guerra di Piero cantata da Celentano, perché mi viene male al cuore].

 

La cattiva strada. Jovanotti. Mi viene da piangere. Non metto il link perché non ce la faccio.

 

Zucchero ha riproposto Ho visto Nina volare. Pur non amando particolarmente Zucchero, la sua interpretazione non mi dispiace, urletti finali a parte.

 

Canzone per l’estate è una delle canzoni che amo di più del Faber, perché la  sento particolarmente mia. E’ stata riproposta da Bennato, De Gregori…ma la versione che mi piace di più è quella dei Mercanti di liquore.

 

Qui ci sarà da discutere, me lo sento. Io ho un debole per Morgan. Eh, lo so..ma è così. La sua interpretazione de Un malato di cuore mi piace tantissimo e, in generale, mi piace tutto il suo Non al denaro, non all’amore né al cielo. Lui tende spesso a strafare (nel canto e nella sua vita privata), ma qui non lo fa e, secondo il modestissimo parere, è quasi perfetto.

 

Per quanto riguarda La canzone di Marinella interpretata da Mina c’è poco da dire. La sua versione è stata elogiata dallo stesso De André.

 

Verranno a chiederti del nostro amore cantata da Cristiano De André. Lui può. Lui l’ha vista nascere questa canzone: Fabrizio la cantò per la prima volta a sua moglie Enrica Rignon alle cinque del mattino e Cristiano li spiava dalla porta.

 

 

Ne mancano moltissime, me ne rendo conto, ma ho scelto le cover che nel bene o nel male mi avevano colpito di più.

Buona domenica!

 

 

Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura.

Il 29 novembre è stato il 150° anniversario del Massacro di Sand Creek, in cui soldati guidati dal Colonnello Chivington uccisero centinaia di uomini, ma soprattutto donne e bambini delle tribù Cheyenne e Arapaho.

Ciò che accadde in quell’ansa del Fiume Sand Creek è raccontato dal Faber e da Massimo Bubola nella canzone Fiume Sand Creek, pubblicata nell’album Fabrizio De André (più conosciuto come L’Indiano).

 

 

La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek.

Ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà

Come si può esprimere al meglio l’irrazionalità di una guerra, anche se ce la presentano come umanitaria, mirata, giusta? Come si fa a contrastare (a parole) quello stupido concetto di guerra inevitabile e necessaria?

Si scrive una filastrocca sulla guerra. Quando si parla di filastrocca si pensa subito ai bambini, al gioco, alla spensieratezza dell’infanzia. Quando si parla di guerra, bisogna pensare subito ai bambini, morti, mutilati, orfani.

Scrivere una filastrocca sulla guerra vuol dire dare uno schiaffo (morale) a chi ci vuol far credere che la guerra sia sempre e solo l’unica soluzione.

Mi direte, la fai semplice tu, è tutto molto più complicato di così. Lo so.

Ma anche se è banale e riduttivo, ogni tanto bisogna ricordarlo che la guerra è stupida. E basta.

 

 

La bomba è già caduta, Marcondiro’ndero
la bomba è già caduta, chi la prenderà?

La prenderanno tutti, Marcondiro’ndera
siam belli o siam brutti, Marcondiro’ndà

Siam grandi o siam piccini li distruggerà
siam furbi o siam cretini li fulminerà.

E adesso aspetterò domani per avere nostalgia.

 

Io, essenzialmente, sono stanca.

Sono stanca perché sono mesi che mi addormento (quando mi addormento) con il pensiero che non sarà mai più come prima. Perché io, PRIMA, ero felice.

Sono stanca e sono anche arrabbiata con me stessa perché in qualche modo la forza per andare avanti la devo trovare e invece per ogni passo avanti, ne faccio due indietro.

Sono stanca, sono arrabbiata e sono delusa. E non solo da me stessa, questa volta.

E forse, quando inizierò ad essere arrabbiata non solo con me stessa, forse, alzerò la testa e vedrò tutto con occhi diversi.

Forse.

E se non lo trovo, un nuovo amore,  non importa. Preferisco la libertà di rimanere per sempre a cercarlo che l’orrore di sapere che non esiste un altro che io possa amare come ne ho amato solo uno in questa vita. Sai chi? Te stronzo.

G.G. Marquez.

Che grande questo tempo, che solitudine, che bella compagnia

 

Anime Salve trae il suo significato dall’origine, dall’etimologia delle due parole “anime” “salve”, vuol dire spiriti solitari. È una specie di elogio della solitudine.

Si sa, non tutti se la possono permettere: non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati. Non se la può permettere il politico: il politico solitario è un politico fottuto di solito. Però, sostanzialmente quando si può rimanere soli con sé stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili, direi che è fatto di tutto l’universo: dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle. E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addirittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri.

Con questo non voglio fare nessun panegirico né dell’anacoretismo né dell’eremitaggio, non è che si debba fare gli eremiti, o gli anacoreti; è che ho constatato attraverso la mia esperienza di vita, ed è stata una vita, non è che dimostro di avere la mia età attraverso la carta d’identità, credo di averla vissuta, mi sono reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura, invece l’uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura

De André – Elogio della solitudine

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